Il mio viaggio in Messico questa estate del 2012 inizia come sempre dall’aeroporto di Peretola a Firenze, ma a differenza degli altri viaggi questa volta parto da sola. Sono un po’nervosa come al solito quando devo partire ma mi sento comunque un po’ più sicura di me stessa. Sembrerà una cosa insensata ma m’accorgo che da quando ho perso un po’ di peso io mi sento meglio, più sicura. E’ una sensazione nuova molto entusiasmante.
Come al solito arrivo all’aeroporto con molto tempo in anticipo, segno che sto invecchiando. Mi metto a sedere tranquilla ad osservare il via vai delle persone. La sala d’attesa è piena di giapponesi e cinesi, gli europei sembrano la minoranza, fra questi vedo passare una coppia di alti biondi teutonici con un paio di ragazzini gemelli al seguito, sono bellissimi, bianchi, pallidi, eterei. Indossano dei bermuda color corda e camicie di bianco cotone e un piccolo panama in testa, d’immediato appare nella mia mente l’immagine di Tadzio nel film Morte a Venezia, chiudo gli occhi e le note della musica di Mahler fluiscono lentamente nel mio cervello.
La partenza del volo è puntuale e trascorre il viaggio tranquillo. Mentre stiamo atterrando a Parigi penso alle parole di mia figlia Laura che giorni prima durante un suo viaggio alla capitale francese mi scrisse “ha un paesaggio che non abbraccia”.
Ho lasciato Firenze con una temperatura di 35°c e qui a Parigi sarà non più di 18°c, il clima è freddo, grigio come lo è anche l’interno dell’aeroporto Charles De Gaulle, strutture d’acciaio, spazi vuoti, pochissima gente. Il pulmino che mi accompagna da un terminal all’altro mi lascia in una sala dove c’è solo un impiegato dell’aeroporto con aria annoiata. Cerco la mia strada e capisco che è al piano di sopra ma vedo solo le scale mobili, ferme, “immobili”, torno indietro, chiedo informazione all’omino annoiato e lui con un cenno della testa mi segnala le stesse scale “im”mobili… timidamente mi preparo a salire a piedi queste scale ma nel momento stesso in cui metto il mio piede destro sul primo scalino paff! incomincia a funzionare la scala, e mi dico “Bravi questi francesi, sono sempre avanti nella modernizzazione giusta senza sprechi!”.
Nella sala d’attesa d’Aeromexico, mentre aspetto il momento della partenza, attira la mia attenzione un ragazzo vestito in modo molto carino, alternativo, chic ed elegante, ha dei timidi baffetti neri e porta un capellino che mi ricorda il cantante italiano di swing degli anni ’50 Fred Buscaglione o il più moderno attore americano dei giorni nostri Matt Dillon. Vuole il destino che fosse il mio compagno di viaggio, e cosi un po’ alla volta abbiamo iniziato a parlare un po’ in inglese, un po’ in spagnolo. Mi ha chiesto aiuto per riempire il modulo del visto e della dogana messicana, e penso come altri anni viaggiando con i miei figli io mi disinteressavo di tutto ed erano loro a riempire persino il mio visto, ed eccomi oggi questa volta io ad aiutare questo giovane ragazzo che va a studiare per un anno ingegneria nella Università de Guadalajara, che sa poco spagnolo ma ha tanti amici di facebook in questa grande città messicana. Quando arriva la nostra cena, io non ho fame ma capisco che lui sì pertanto gli offro la mia e lui mangia volentieri tutto con grande appetito. Durante il volo si prende un forte raffreddore e mal di gola benché si fosse avvolto tutto quanto con la copertina. Mi ha ricordato mio figlio Filippo che anche lui era incline a raffreddarsi in queste traversate oceaniche, infine come mamma mi prendo cura di lui dandogli fazzoletti e un’aspirina. Arriviamo a Città del Messico, passiamo insieme migrazione, ci salutiamo con un bacio e un in bocca al lupo, si sistema il suo cappellino in testa e lo perdo di vista.
Finalmente, dopo quasi sei ore d’attesa, prendo il piccolo aereo che mi porterà a Tampico, ho un po’ di paura per le dimensioni ridotte dell’aeromobile ma invece si tratta di un aereo nuovo, sale in cielo senza difficoltà e il volo procede tranquillo e in meno di un’ora arriviamo nel porto tropicale di Tampico da dove inizierà la mia avventura nella terra dei miei natali, ora terra dei narcos.
L’aeroporto è pieno di soldati. Quando m’accorgo che c’è solo una delle mie sorelle ad aspettarmi capisco che i tempi sono cambiati. Un tempo veniva quasi tutta la famiglia a darmi il benvenuto, ma ora purtroppo muoversi, andare in giro è pericoloso, usare i mezzi propri per spostarsi d’una città all’altra non è consigliabile, così oggi si viaggia sempre nei comodi e sicuri autobus.
Al giorno dopo prendiamo il bus per andare alla mia città “El Mante”, fino a pochi anni fa quei 157km si percorrevano nelle proprie macchine placidamente in due ore, invece in questi tempi di paura, con il bus ci si mettono persino 3 ore quando non ci sono “retenes”(posto di blocco dei soldati).
Vedere i posti dove si è trascorso sempre una vita tranquilla piena di gioia e libertà, ora dovunque affollata da soldati e poliziotti federali, è una esperienza dolorosa e mette paura. Sono dappertutto; nelle banche, nei supermercati, nella piazza principale, il vecchio albergo della città è diventato una caserma comprese trincee con sacchi di sabbia.
Nonostante tutta questa caotica situazione, l’accoglienza della mia famiglia è meravigliosa e cercano volentieri d’organizzare pranzi e riunioni pur stando attenti a rinchiuderci presto nelle nostre abitazioni onde evitare le uscite notturne. Proprio a causa di questa problematica è cresciuta la dipendenza dai network, tutti sono organizzati molto bene e passano intere serate comunicando fra di loro, in chat con messenger, twitter, posta elettronica o il più affascinante facebook . Mettono fotografie, scrivono pensieri, si raccontano barzellette, pregano e accendono candele virtuali per le persone sparite o sequestrate. Ma anche il sabato sera si organizzano vere e proprie serate da discoteca “virtuale”, da Tampico alle 10 di sera parte questo simpatico quarantenne deejay che ha più di 600 fans con serate musicali: tutti si collegano, si mettono di fronte allo schermo con bibite, birra, whiskey, “botanas” (tapas), e attraverso di questo mezzo scherzano, ridono, scambiano idee, nascono amori, relazioni. La serata va avanti tutta la notte ma ognuno è libero di ritirarsi a beneplacito. Tutto questo può sembrare assurdo e terribile per noi che viviamo in un’altra realtà, ma credetemi che avendo conosciuto da vicino la situazione posso capire perfettamente il perché di tutto questo. Questo aiuta a rendere la vita “ màs llevadera” (più sopportabile).
Un po’ alla volta comincio ad uscire la mattina e mi avventuro da sola in centro, che è sempre gremito di gente, di confusione, di rumore. M’inoltro nel mercato centrale e vedo con tristezza che anche qui tutto è cinese, sono rimasti pochi banchi con prodotti artigianali messicani, come quello delle cinture di cuoio con dei bei scorpioni lavorati artisticamente, dal suo banco ascolto la cover in spagnolo dei Ricchi e Poveri: “Sarà perché ti amo”, pochi passi fuori dal mercato ed entro nella confusione più totale giacché è costume tenere musica molto forte fuori d’ogni negozio sulle strade. Fra una struggente canzone messicana e una cumbia texana, spunta con la sua voce nasale il nostro italico Eros Ramazzotti, cantando “La cosa màs bella”… mi fa tanto ridere.
Fuori dal centro la città mi fa un po’ pena perché sono tanti i negozi chiusi, macerie dappertutto, tante le case disabitate , e come disse J.Vasconcelos nel suo libro Ulises Criollo riguardo la crisi del 1896 nello stato di Campeche in Messico: “file di finestre sbarrate e cancelli suntuosi rimanevano chiusi senza annunci d’affitto, come se i proprietari si fossero stancati d’aspettare inquilini”, tutto come abbandonato alla sorte in attesa di tempi migliori. La maggioranza delle persone abbienti ha lasciato le proprie proprietà, i lavori, le imprese in uno stato di “stand by”, per paura di sequestri o di cose peggiori, e sono andati a vivere alla frontiera con il Texas, amministrando gli averi tramite parenti o impiegati attraverso internet. Vivono sradicati dal loro paese come ricchi immigranti con una grande nostalgia del loro Messico, tanto vicino ad un passo ma lontano e proibitivo per loro nonostante la loro ricchezza!
Con il passare dei giorni mi accorgo che inizio ad abituarmi alla presenza dei soldati e magari mi ritrovo a fare la fila nel bancomat o nelle casse dei supermercati con loro, non ho più paura solo un po’ di riserbo, li osservo discretamente, sono tutti molto giovani con forti tratti somatici indigeni, dicono che la maggioranza proviene dagli stati centrali di Puebla, Oaxaca e Guerrero, sono vestiti con uniformi di grossa stoffa, armati fino ai denti, con casco e alcuni con passamontagna, riesco a vedere solo i loro occhi inquieti, sopportano il caldo tropicale stoicamente, so che spesso si ritrovano negli ospedali con abrasioni e funghi in diverse parti del corpo dovute alla mancanza di traspirazione.
Mi fa piacere che fra le tante abitazioni abbandonate o costruzioni lasciate a metà abbiano invece finito la ricostruzione della “Iglesia de Guadalupe” in pieno centro, erano al meno 25 anni che si portavano dietro questi lavori!
L’unico commercio che è cresciuto a dismisura nella mia vecchia città è la vendita di alimenti sulla strada. Non c’è strada o marciapiede libero da queste ingombranti carrette, hanno invaso persino gli spazi dove si dovrebbe parcheggiare. Veri e propri ristoranti mobili con tavoli e sedie di plastica, si piazzano fin dalle prime ore del mattino essendo usanza messicana ingerire forti colazioni la mattina e va avanti cosi fino alla sera, gli odori di fritto o di pesce invadono l’ambiente. Mi dicono che pagano 10 pesos al giorno (poco meno di 1 euro) al municipio… ma quanto pagano di pizzo alla mafia non si sa.
Un’altra curiosità che ho trovato molto simpatica e maliziosa che rientra nel carattere messicano è la maniera di far pubblicità ai pantaloni di jeans femminili: mettono manichini con grossi sederi rivolti sul marciapiedi, questi manichini indossano jeans stretti, colorati pieni di luccichini proprio per chiamare l’attenzione dagli uomini messicani che adorano i sederi pieni e voluminosi.
Tornando alla vita in famiglia, è molto riposante per me passare un periodo con loro nel “dolce far niente”, passiamo molto tempo nel salotto fra sorelle e mamma a chiacchierare, anche interi pomeriggi! Dalla grande portafinestra osservo il grande e rigoglioso giardino, con le palme che quasi scavalcano il muro, la buganvillea che copre gran parte del loggiato da dove tanti uccellini volano allegri da un ramo all’altro, qualcuno porta nel becco piccoli vermi che poi deposita amorosamente nel beccuccio del suo tenero piccolino. Qualche scoiattolo corre veloce sulle lunghe braccia degli alberi che si stendono sempre lungo i muri di recensione.
Guardo divertita la nuova mascotte di mia mamma; una vecchia tartaruga (galapago), un tempo chiamata Panfila, nome dato dal suo primo proprietario mio nipote Rodolfo quando da piccolino la raccolse sulla strada e la portò a vivere nel loro grande giardino insieme ad altri animali come galline, polli, e un cane. Per quasi 25 anni Panfila è vissuta felice in questo ambiente nonostante il feroce cane Stacey, un misto di labrador con chaw-chaw che terrorizzava tutti quanti. Alla morte di questo cane è arrivato Zimba, un bullmastif grosso ma bonaccione… che l’ha presa per un pallone sballottandola di qua e di là. E’ stata costretta perciò ad immigrare al giardino della mia mamma dove ha assunto una nuova identità, con il nome più semplice di Kika.
Kika è diventata l’oggetto d’amore della mia mamma e lei, generalmente così sobria nelle manifestazioni amorose, con lei riesce ad esprimersi con grande tenerezza. La chiama a voce quando deve mangiare e Kika si avvicina piano piano leggera portandosi addosso la sua vecchia casa. Quando cammina le sue zampette e unghie sembrano non toccare il terreno, arriva sulla soglia della porta e lì le servono fresche foglie di lattuga o tonde fette di cetrioli, mangia tutto senza fretta, una volta che ha finito tutto fa una grande “pisciata” lasciando anche grosse quantità di popò! Dopodichè torna nel giardino accolta dal canto degli uccelli come una vecchia regina.
Così è passata quasi tutta l’estate, fra gli affetti familiari, pranzi succulenti, letture e aggiornamenti sulla vita politica e quotidiana del Messico.
Credo che d’ora in avanti quando visiterò un posto seguirò il consiglio d’un buon amico e scrittore che disse: “Quando visiti un posto, pensa che non tornerai mai più lì: questo t’obbligherà a vivere con più intensità ma anche con pietà i posti che visiti”.
Version en castellano:
Mi viaje a México este verano del 2012 inicia como siempre del aeropuerto de Peretola en Florencia, pero a diferencia de otros viajes, esta vez parto sola.
Estoy algo nerviosa como siempre cuando tengo que partir pero me siento como sea un poquito más segura de mi misma. Parecerá una cosa sin sentido pero me doy cuenta que desde que he perdido algo de peso me siento mejor. Es una sensación nueva entusiasmante.
Cómo de costumbre llego al aeropuerto con mucho tiempo en anticipo, señal de que estoy envejeciendo.
Tomo asiento y observo tranquila el ir y venir de las personas. La sala de espera está llena de japoneses y chinos, los europeos parecen ser la minoría, entre ellos veo pasar una pareja de altos, rubios teutónicos con un par de chiquillos gemelos detrás de ellos, son muy bellos, blancos, pálidos, etéreos. Llevan puestos unos bermudas color cuerda y blancas camisas de algodón y unos pequeños panamás en sus cabezas. De inmediato aparece en mi mente Tadzio en la película “Muerte a Venecia” de L. Visconti, cierro los ojos y las notas musicales de Mahler fluyen lentamente en mi cerebro.
La salida del vuelo es puntual y transcurre el viaje sin sobresaltos. Mientras estamos aterrizando en Paris pienso a las palabras de Laura que algunos días antes, durante un viaje de ella a la capital francesa, me escribió lapidaria “tiene un paisaje que no abraza”.
Dejé Florencia con una temperatura de 35°c y aquí en Paris serán no más de 18°c, el clima es frío, gris como lo es también el interior del aeropuerto Charles De Gaulle, estructuras en acero, espacios vacíos, poca gente. El autobus que me acompaña de una terminal a otra me deja en una sala donde está solo un empleado del aeropuerto con cara de aburrido. Busco mi camino y entiendo que es en el piso de arriba pero veo solo las escalera eléctricas paradas, inmoviles. Entonces regreso a pedir información al hombre aburrido el cual con solo un movimiento de cabeza me señala las escaleras “in”moviles… timidamente me preparo a subirlas caminando cuando al instante en que pongo mi pie derecho sobre el primer escalón paff! la escalera empieza a funcionar y digo entre mí “Bravos estos franceses, están siempre a la vanguardia con la modernización justa sin derroches”.
En la sala de espera de Aeroméxico, mientras llega el momento de partir, llama mi atención un muchacho vestido en manera linda, alternativa, chic y elegante, lleva unos tímidos bigotitos y un sombrerito gris que me recuerda el cantante italiano de swing de los años ’50 Fred Buscaglione o el más moderno actor americano de estos años Matt Dillon. Quizo el destino que fuera mi compañero de viaje, y así un poco a la vez empezamos a platicar un poquito en inglés y un poquito en español. Me pidió que lo ayudara a llenar los formularios de la visa y de la aduana mexicana. Y pienso como en otros años yo viajando con mis hijos me desinteresaba de todo y eran ellos a llenar hasta mi visa… y en cambio veeme aquí hoy ayudando a este joven francés que va a estudiar un año ingeniería en la Universidad de Guadalajara, que sabe muy poco español pero que tiene tantos amigos en facebook en esta grande ciudad mexicana.
Cuando llega nuestra cena, yo no tengo hambre, tomo solo las galletas saladas y le ofrezco la mia y él se la come con gusto. Durante el vuelo agarra un fuerte resfriado y dolor de garganta aunque si se cubrió todo con la colchita. Me recordó mi hijo Filippo, ya que también él era propenso a resfriarse en estas travesías oceánicas.
En fin, mamá, me encargo de él dandole pañuelos de papel y una aspirina. Llegamos a la Ciudad de México, pasamos juntos migración, nos saludamos con un beso y un “suerte”, se pone su lindo sombrerito y lo pierdo de vista.
Finalmente después de 6 horas de espera, tomo el pequeño avión que me llevará a Tampico, tengo algo de miedo viendo las dimensiones de la aeronave, en cambio es un avión nuevo que sube en el cielo sin dificultad y el vuelo procede tranquilo y en menos de una hora llegamos al puerto tropical de Tampico, donde iniciará mi aventura en las tierras natales, ahora tierras de los narcos.
El aeropuerto está lleno de soldados. Cuando veo que está solo mi hermana Laura esperandome entiendo que los tiempos han cambiado. Una vez venía casi toda la familia a darme la bienvenida, pero ahora moverse, dar la vuelta es peligroso, usar los propios automóviles para ir de una ciudad a otra no es aconsejable, así hoy se viaja siempre en cómodos y seguros autobuses.
Al día siguiente tomamos el camión que nos llevará a mi ciudad el Mante, hasta hace pocos años esos 157 km de carretera se recorrían placidamente en poco menos de 2 horas ahora en estos tiempos de miedo con el bus se hacen como mínimo 3 horas si no se encuentran retenes.
Ver esos lugares donde se transcurrió sempre una vida tranquila llena de alegría y libertad, ahora donde quiera llena de soldados y de policías federales, es una experiencia dolorosa y da miedo. Están por todos lados, en los Bancos, en los Supermercados, en la Plaza principal, el viejo Hotel de la ciudad es transformado en un cuartel incluso con trincheras con sacos de arena.
A pesar de toda esta caótica situación, la cálida acojida por parte de mi famiglia es maravillosa y organizan de buen humor excelentes comidas y reuniones haciendo atención a encerrarnos temprano en nuestras casas para evitar salidas nocturnas.
Precisamente a causa de esta problematica ha crecido la dependencia a los networks, todos están muy bien organizados y pasan mucho tiempo comunicando entre ellos, en chat con messenger, twitter, los correos electrónicos o el más facinoso facebook. Ponen fotografías, escriben pensamientos, se cuentan chistes, rezan y prenden velas virtuales por las personas secuestradas o desaparecidas. También el sábado organizan verdaderas noches en la disco virtual, desde Tampico a las 10 p.m. este simpático Deejay cuarentón que tiene más de 600 fans empieza su programa musical; todos se reunen frente a sus pantallas de la computadora con bebidas, cerveza, whiskey, botanas, y a través de este medio bromean, ríen, intercambian ideas, nacen amores, relaciones. La velada sigue toda la noche hasta la mañana del día siguiente pero cada quien es libre de retirarse cuando se le antoja. Todo esto puede parecer un poco absurdo para nosotros que vivimos una realidad tan diferente, pero créanme que habiendo conocido de cerca la situación puedo comprender perfectamente el porqué de todo esto. Esto ayuda a hacer la vida “más llevadera”.
Un poco a la vez empiezo a salir en las mañanas y me aventuro sola en el centro, que está siempre lleno de gente, de confusión, de ruido. Entro en el mercado y veo con tristeza que también aquí está todo hecho en China, han quedado pocos puestos con productos mexicanos artesanales, resiste el de los cinturones de cuero con lindos alacranes grabados artisticamente, ahí en su puesto escucho la cover en español de “Ricchi e Poveri” (grupo italiano famoso en los años ’70 y ’80) “Será porque te amo”, a pocos pasos afuera del mercado entro en la más total confusión porque es costumbre tener la música a todo volumen fuera de cada negocio en las calles. Entre una conmovedora canción mexicana, una cumbia texana, se escucha la voz nasal de nuestro itálico Eros Ramazzotti, cantando “La cosa más bella”… me hace sonreir.
Afuera del centro, la ciudad me da algo de pena porque hay muchos negocios cerrados, escombros por todos lados, tantas casas deshabitadas, y como dice J.Vasconcelos en su libro “Ulises Criollo” cuando habla de la crisis de 1896 que sufría Campeche: “filas de ventanas con rejas y zaguanes suntuosos permanecían cerrados y sin anuncios de alquiler, como si los dueños se hubiesen cansado de esperar inquilinos”, todo esto abandonado a la suerte esperando tiempos mejores. La mayoría de las personas ricas han dejado sus propiedades, sus trabajos, sus empresas en una situación de “stand by”, por miedo a los secuestros, o a cosas peores, se fueron a vivir a las ciudades fronterizas de Texas, administrando sus intereses por medio de internet con parientes o empleados de confianza. Viven desarraigados de su pais como ricos migrantes con una grande nostalgia de México, tan cerca de ellos a solo un paso pero prohibido no obstante sus grandes riquezas!
Con el pasar de los días me doy cuenta de que inicio a acostumbrarme a la presencia de los soldados y a veces me encuentro entre ellos a hacer la fila en el bancomat, en el supermercado, no tengo más miedo pero los observo con discreción, son todos muy jovenes con fuertes razgos somáticos indígenas, dicen que la mayoría proviene de los estados centrales de Puebla, Oaxaca, Guerrero, visten con uniformes de gruesas telas, armados hasta los dientes, con cascos y algunos con pasamontañas, de modo de que se puedan ver solo sus ojos que son inquietos y vivaces, soportan estoicamente el calor tropical; sé que seguido se encuentran en el hospital con fuertes rosaduras y hongos en el cuerpo debido precisamente a la falta de transpiración.
Me da mucho gusto ver entre las tantas habitaciones abandonadas o construcciones dejadas a mitad la terminación de la reconstrucción de la Iglesia de Guadalupe en la plaza principal, eran al menos unos 25 años que habían comenzado!
El único comercio que ha florecido sin medida aquí en el Mante es la venta de alimentos en las calles, el comercio de ambulantes.
No hay banqueta o calle libre de estos voluminosos carretones, han invadido hasta los espacios para estacionar los coches. Verdaderos restaurants con mesas y sillas de plástico, se acomodan desde las primeras horas de la mañana hasta en la noche siendo una costumbre mexicana ingerir fuertes desayunos en la mañana, y así los olores de frito y de mariscos se confunden, se mezclan. Me dicen que pagan 10 pesos al día al municipio… pero qué cantidad pagan a la mafia, eso no lo sabemos. Es una manera de sobrevivir a la situación actual de precariedad en el trabajo.
No hay banqueta o calle libre de estos voluminosos carretones, han invadido hasta los espacios para estacionar los coches. Verdaderos restaurants con mesas y sillas de plástico, se acomodan desde las primeras horas de la mañana hasta en la noche siendo una costumbre mexicana ingerir fuertes desayunos en la mañana, y así los olores de frito y de mariscos se confunden, se mezclan. Me dicen que pagan 10 pesos al día al municipio… pero qué cantidad pagan a la mafia, eso no lo sabemos. Es una manera de sobrevivir a la situación actual de precariedad en el trabajo.
Otra curiosidad que encontré muy simpática y pícara propia del carácter mexicano es la manera de hacer publicidad a los pantalones jeans femeninos: ponen maniquis con grandes sentaderas dispuestos hacia las banquetas, estos maniquis traen jeans apretados, con colores fuertes llenos de brillantitos para llamar la atención de los hombres mexicanos que adoran las nalgas llenas y voluminosas.
Regresando a la vida en familia, es muy reposante para mí pasar un período así en el “dolce far niente” (dulce hacer nada), pasamos mucho tiempo en la salita entre mis hermanas y mi mamá a platicar, hasta tardes enteras! Desde el gran ventanal observo el lozano jardín, con las verdes palmas que casi desbordan la barda, la enredadera de buganvilla que cubre casi todo el tejado de donde tantos pájaros vuelan alegres de un ramo a otro, alguno lleva en su pico pequeñas lombrices que después deposita cariñosamente en el piquito de su tierno pájarito. Alguna ardilla corre veloz en los largos brazos de los árboles que se extienden sobre el muro de tapia.
Veo divertida la nueva mascota de mi mamá; una vieja tortuga (galápago), un tiempo llamada Pánfila, nombre dado por su primer propietario mi sobrino Rodolfo cuando de niño la recogió en la carretera y la llevó a vivir en su jardín junto a otros animales como gallinas, pollos y un perro. Durante casi 25 años Pánfila vivió felíz en este ambiente no obstante la presencia del feroz perro Stacey, un mixto de Labrador con Chaw-chaw que terrorizaba a todos. Muriéndo este perro llegó Zimba, un bullmastif grandísimo pero muy bondadoso… que la agarró de pelota zarandeandola por todos lados. La pobre Pánfila fue obligada a emigrar al jardín de mi mamá donde ha tomado una nueva identidad, con el nombre más sencillo de Kika.
Kika se ha vuelto el objeto de amor de mi madre y ella, que generalmente es tan sobria en sus manifestaciones de afecto, con ella logra externarse con grande ternura. La llama cuando es la hora de comer y Kika se acerca despacito ligera llevando encima su vieja casa. Cuando camina sus patitas y uñas parecen no tocar el terreno de cuanto es delicada, se acerca a la puerta donde le sirven frescas hojas de lechuga o redondas rebanadas de pepino, come todo sin prisa y una vez que ha terminado hace un buen charco de pipi dejando también buenas cantidades de caca!
Después regresa al jardín donde la reciben los cantos de los pajaritos como si fuera una reina.
Así he pasado todo el verano, entre los afectos familiares, comidas suculentas, lecturas y actualización del mundo de la política y de la vida cotidiana de México.
Creo que de ahora en adelante cuando visitaré un lugar seguiré el consejo de un amigo y escritor que dice: “Yo cuando visito un lugar, pienso que jamás volveré a él de nuevo y pensar así me obliga a vivir con un poco más de intensidad y piedad los lugares que visito”.
Adrianaaaa! He llorado al leer tu blog!! Que nostalgia amiga mia! Gracias por narrar tu viaje que nos llena de nostalgia! Un abrazo sigue escribiendo!
RispondiEliminaPatricia Gonzalez