mercoledì 30 settembre 2015

Biscotti all’ananas e cocco – Galletas con piña y coco



Ingredienti

3 tazze di farina
1 cucchiaino di bicarbonato
¾ tazza di zucchero nero
¾ tazza di zucchero bianco
1 tazza di burro salato morbido
1 uovo grande
2 cucchiaini di vaniglia
1 tazza di ananas sciroppato tagliato a pezzettini e ben sgocciolato
1 cucchiaio di succo d’ananas
¼ tazza di cocco grattugiato

Preparazione

In un recipiente grande mescolare la farina e il bicarbonato. Poi aggiungere i due tipi di zuccheri, il burro ammorbidito, l’uovo, la vaniglia, l’ananas tagliuzzato e il succo d’ananas e mescolare bene. Una volta ben amalgamato aggiungere la farina e di nuovo mescolare. Riscaldare il forno a 180°. Una volta pronto coprire una teglia con carta da forno e mettere dei mucchietti di impasto e cospargere con il cocco grattugiato. Cuocere in forno per 10-12 minuti.



Versión en español


Ingredientes

3 tazas de harina
1 cucharada de bicarbonato
¾ taza azúcar moreno
¾ taza azúcar blanca
1 taza de mantequilla salada suave
1 huevo grande
2 cucharitas de vainilla
1 taza de piña en almibar en pedacitos y bien escurrida
1 cucharada del jugo de piña
¼ taza de coco rallado

Preparación

En un recipiente grande mezclar la harina y el bicarbonato. Después agregar los dos tipos de azúcar, la mantequilla suave, el huevo, la vainilla, la piña y el jugo de piña y mezclar todo muy bien. Una vez bien amalgamado todo agregar la harina y de nuevo mezclar. Calentar el horno a 180°, cubrir una charola con papel para horno y hacer unos puñitos con la masa, cubrirlos con coco rallado y cocer en el horno caliente unos 10-12 minutos.  

venerdì 18 settembre 2015

Vellutata di zucca – Crema de calabaza




Ho sempre pensato che le abitudini e i gesti si ripetono da generazione e generazione e, fra questi ci sono quegli che riguardano la preparazione del cibo e la maniera d’apparecchiare la tavola anche nel quotidiano. Ho bellissimi ricordi delle mie nonne, di mia madre che si sono sempre impegnate con cura e amore in cucina. Io credo d’avere imparato tanto da loro e ho amato sempre ripetere con la mia famiglia quello che io chiamo “gesti d’amore”. Perciò oggi sono così contenta di proporvi questa crema di zucca fatta da mia figlia. Le fotografie della vellutata sulla sua piccola tavola sono i “gesti d’amore” che si ripetono nel tempo.

Ingredienti

brodo vegetale qb
1 chilo di zucca Mantovana pulita
½ cipolla bianca
1 cucchiaino di cannella
sale e pepe qb
1 pizzico di noce moscata
olio d’oliva

Preparazione

Lavate e sbucciate la zucca, quindi tagliate a pezzetti. Tagliate la cipolla finemente, e poi fatele appassire a fuoco dolce, in una pentola con 3 cucchiai d’olio d’oliva. Dopo 5 minuti uniti la zucca, coprite e lasciate cuocere per una decina di minuti. Aggiungete qualche mestolo di brodo, rimestate di tanto in tanto con un cucchiaio di legno e continuate la cottura, con il coperchio, sempre a fuoco basso, fino a quando la zucca non si sarà sfaldata (20 minuti). Se la zucca dovesse asciugare troppo aggiungete altro brodo.
Verso fine cottura aggiustate di sale e pepe e aggiungete la noce moscata e la cannella. Quando la zucca sarà cotta, toglietela dal fuoco e, con l’aiuto di un mixer o di un frullatore, riducetela ad una crema liscia.
Servitela ancora calda con un filo d’olio e, se lo gradite una grattugiata di parmigiano.


Versión en español

He siempre pensado que las costumbres y los gestos se repiten de generación en generación y, entre estos están los que conciernen la preparación de los alimentos y la manera de poner la mesa hasta en el cotidiano. Tengo bellisimos recuerdos de mis abuelas, de mi mamá que con grande amor se tomaban mucho tiempo en la cocina. Yo creo de haber aprendido mucho de ellas y me he siempre empeñado en reproducir esto que yo llamo los “gestos de amor” con mi familia. Por eso hoy estoy felíz de proponerles esta crema de calabaza hecha por mi hija. Las fotografías de su crema en su pequeña mesa son los “gestos de amor” que se repiten en el tiempo.

Ingredientes

caldo vegetal
1 kg de calabaza limpia
½ cebolla blanca
1 cucharita de canela
1 pellizico de nuez moscada
sal y pimienta
aceite de oliva

Preparación

Lavar y pelar la calabza, cortarla en pedacitos. Picar finamente la cebolla y marchitar a fuego dulce, en una olla con 3 cucharadas de aceite de oliva. Después de 5 minutos agregar la calabaza, cubrir y dejar cocer por 10 minutos. Agregar el caldo y mezclar con una cuchara de palo, y continuar la cocción, siempre cubierta y a fuego dulce, hasta que la calabaza se desbarate (20 minutos). Si estuviera muy densa versar más caldo. Casi al final de la cocción ajustar de sal, pimienta y poner la nuez moscada y la canela. Una vez todo listo, quitar del fuego y con la ayuda de un mixer o de una licuadora, moler y dejar cremosa. Servir caliente con un chorrito de aceite de oliva crudo y si gustan con queso parmesano recién rallado. 





martedì 15 settembre 2015

Estate - Verano 2015



I primi quindici giorni di luglio a Firenze sono stati d’un caldo torrido come preparazione fisica e mentale per la nostra partenza e arrivo nel nordest messicano: Tampico, Mante, Monterrey.

Quest’anno sono partita con mio figlio Filippo. Sono sei anni che lui non è più  stato in Messico e tutta la famiglia lo aspettava con trepidazione. Il volo da Firenze a Parigi è stato molto tranquillo e privo d’emozioni, che per la mia attuale fobia di volare è più che perfetto.


La sorpresa è stata ritornare all’aeroporto Charles de Gaulle. Finalmente i lavori di ricostruzione degli anni precedenti che lo rendevano brutto e scomodo sono finiti ed ora la parte dei voli internazionali appare enorme e luminosa. Ci sono grandi spazi arredati con chaise lounge di un forte colore arancione e per le sue forme sembrano lingue di fuoco, tutti quanti sistemati di fronte a grandi finestroni che fanno vedere un cielo di Magritte. Immediatamente t’invade una sensazione d’incredibile benessere. Tutto appare elegante e silenzioso, ogni tanto irrompono le melodie che qualche passeggero suona al pianoforte sistemato appositamente in fondo alla stanza.


Ci sono diverse ore d’attesa prima di salire a bordo del volo d’Aeroméxico, per tanto ne approfitto per stendermi in una di queste meravigliose lingue di fuoco. Mi levo le scarpe e con i piedi scalzi ho la sensazione di stare all’aria aperta in un parco, in una spiaggia, godendo d’un cielo così celeste.

Più tardi m’avventuro alla ricerca di qualcosa da mangiare e me accorgo che i francesi vivono di profumi, di stoffe di seta, di cioccolatini e degli eleganti e chic “macarons” tanto di moda in questi giorni. Per trovare un ristorante ho dovuto ripercorre in lungo e in largo quasi tutto l’aeroporto. Ho trovato solo due punti di ristoro;  uno solo con snacks e l’altro un ristorante che non offre gran varietà di piatti. Tuttavia, mi sono accorta che ci sono due alimenti che prevalgono nel menù: baguette con formaggio brie, noci e uvetta (piatto nazionale) e l’altro, cous-cous, bulgur, zafferano (piatto delle colonie).


Soddisfatta dopo avere mangiato il mio panino al formaggio, mi dirigo ai bagni. Questi sono molto moderni e puliti, l’acciaio dei lavandini contrasta con le porte arancione. Ancora lingue di fuoco. Lì una simpatica signora cinese mi chiede il dentifricio e, come due vecchie camerate, ci laviamo all’unisono i denti di fronte al grande specchio.

Sono tanti anni che vado in Messico durante l’estate. Può sembrare un viaggio sempre uguale però, nonostante sia più o meno lo stesso periodo e gli itinerari sempre i soliti, cambio le compagnie aeree. Questa volta all’andata ho scelto Aeroméxico partner di skyline con Airfrance e KLM. È stata una gradevolissima sorpresa vedere lo nuovo dell’aeronave; non era un super jumbo ma era molto più comodo, con più spazio per allungare le gambe, molto pulito e soprattutto, le hostess erano tutte quante giovani e molto gentili. Non c’è niente di peggio che viaggiare con una squadra di hostess pronte alla pensione e stufe di questo pesante e logorante lavoro!

L’attraversata oceanica, per chi come me non riesce a dormire, diventa lunga, noiosa e stancante, anche se ora, con gli schermi individuali sugli schienali dei sedili, si può trascorrere il tempo vedendo qualche film. Ogni tanto durante il volo ci sono delle turbolenze, cose da poco conto e questo per la mia santa pace vale la noia del viaggio.

Siamo arrivati all’aeroporto della Città del Messico la mattina, alle 3:30, se uno s’aspettava l’aeroporto semideserto visto l’orario, si sbagliava totalmente; questo sembrava un mercato in pieno mezzogiorno. Siamo partiti in una notte silenziosa da Parigi e ci siamo svegliati in un Messico rumoroso.

Dopo qualche ora, e risolto un piccolo problema con i passi d’abbordare, ci imbarchiamo sul corto volo per Tampico. Là ci hanno ricevuto con una splendida colazione che consisteva di frutta diversa come: papaya, ananas, melone, cocomero, kiwi, uva (un arcobaleno di colori) yogurt greco, muesli, uova a piacere, fagioli, tortillas e salsa piccante, e non poteva mancare anche il caffè all’americana…arrivederci all’espresso.

Qualche ora di meritato riposo e poi siamo andati sulla spiaggia, dove ci siamo riuniti con altri membri della famiglia e amici. Abbiamo goduto della compagnia, del sole, della deliziosa acqua del mare, di freschi gamberoni, di granchi ripieni, di ceviche e birra ghiacciata… non male per essere il primo giorno in terra messicana!



 Il giorno dopo siamo arrivati al Mante. Percorrere il viale principale della città mi da sempre una sensazione strana, come d’abbandono. Non so se perché è una città polverosa, ricorda quelle abitazioni deteriorate dal trascorrere del tempo.

L’incontro con la famiglia è tranquillizzante. La casa della mia mamma è per metà di un colore ambrato. Il salotto e la sala da pranzo, un tempo pieni di vita, sembrano sospesi nell’ombrale dell’oblio. I divani appaiono rigidi ed induriti; nessuno si siede più sopra. Gli oggetti sono coperti da un leggero strato di polvere come a coprire i ricordi. Ogni tanto entro in questa stanza e osservo in silenzio ogni cosa che è lì da sempre: mi riempie di malinconia. Sui muri ci sono alcuni quadri, due sono miei, li dipinsi quando ero molto giovane e mi credevo un’artista. Uno di essi è un quadro che nella pittura viene chiamato La Vanitas perché rappresenta l’effimero dell’esistenza attraverso elementi simbolici, in questo caso le candele che ho dipinto su vecchie bottiglie di vino. La cosa curiosa è che allora non sapevo niente su questa corrente pittorica del 1600 che si sviluppò soprattutto in Olanda. L’altro quadro è una copia della famosa pittura Jesucristo Tata, del pittore messicano Francisco Goitia, come potette notare attraverso le mie “opere” già allora non ero una persona molto allegra e ottimista. La pittura è bellissima ma di una tristezza infinita.


Dopo una settimana in famiglia, di buona convivenza e spensieratezza, siamo partiti per Monterrey con un autobus di Transpais, il mezzo di trasporto più usato in questi tempi d’insicurezza e pericolo. E' incredibile come una impresa privata sia riuscita a diventare un leader, con un’alta professionalità: gli autobus sono sempre in orario, gli autisti si mostrano molto gentili, preparati e puliti. I sedili sono comodissimi, con grandi spazi per allungare le gambe. Ogni sedile sugli schienali hanno uno schermo proprio con una ampio programma d’intrattenimento cha va da dodici film internazionali ad ebooks come I fiori del male di Ch. Baudeliere, L’educazione sentimentale di Flaubert, o La decadenza della menzogna di Oscar Wilde. Si può  anche scegliere un audiolibro come Il Decameron di Boccaccio, L’idiota di Fiodor Dostoievsky, o La lettera scarlatta di N. Hawthron. Niente male!! O semplicemente ascoltare qualche concerto o musica pop.

Questo è uno dei contrasti che più mi hanno colpito in questo viaggio in Messico. Da una parte un’alta percentuale d’analfabetismo e dall’altra mezzi di trasporto da primo mondo che offrono un ventaglio d’offerte culturali straordinarie.

Una sera a Monterrey insieme al mio nipote e sua moglie siamo andati a cena ad un ristorante all’aperto in una grande terrazza. Quella sera trasmettevano la partita di calcio per la Copa Libertadores fra i Tigres di Monterrey e il River Plate d’Argentina. C’erano tanti schermi di televisione dappertutto, sistemati strategicamente in maniera che tutti riuscissero a vedere la partita dovunque fossero seduti. Il posto era strapieno, tutti emozionati e contenti. Le tavole erano piene di bottiglie di birra, impressionanti: in tutta la mia vita non avevo mai visto una cosa simile. Uomini, donne, grandi, piccoli bevevano continuamente. I camerieri si muovevano agili e veloci come manguste, in modo che nessuno rimanesse a secco o senza mangiare!

L’offerta di pietanze era straordinaria, dal momento in cui ci servirono un polpo grigliato sul tagliere di legno insieme a patate fritte fu una sfilata di squisitezze . Probabilmente io ero l’unica non interessata alla partita: non amo il calcio. Ma passai il tempo ad osservare le persone, cercando di chiacchierare con le persone vicino a me, anche se il frastuono lo rendeva quasi impossibile. Nonostante la confusione, bastava rivolgere lo sguardo al cielo per rasserenarsi alla vista del bellissimo Cerro de la Silla, che spuntava fra due moderni grattacieli illuminati dalla magnifica luna piena di quella notte. Il contrasto fra lo moderno e la forza della natura era impressionante.

Il resto della notte si riempì di rumori, d’espressioni di gioia o delusione nei momenti in cui il pallone sfiorava il gol. Rumori, rumori, gente che mangiava, beveva, sguardi che s’incrociavano ma non si vedevano, tutti alienati dal calcio. È stato come essere allo stadio, credo.

Stare insieme ai miei nipoti è sempre così piacevole, loro sono sempre gentili. Il giorno dopo la partita, nonostante l’aeroporto fosse così lontano, mio nipote Jesu ci accompagnò a prendere l’aereo che ci avrebbe portato a Tampico. E lì sono tornata al mio vecchio vizio di osservare la gente durante le ore d’attesa. Il terminale di Vivaerobus era realmente brutto e vecchio; sembrava d’essere in un capannone che all’improvviso si trasformava in terminal d’aeroporto. Osservai molte donne di età diverse, quasi tutte indossavano pantaloncini molto corti e calzavano scarpe con tacchi altissimi, alcune con certi sederi grossi. Mi domando sempre come riescano a viaggiare vestite in quella maniera. E gli uomini, nientemeno, vestiti con bermuda fioriti d’orchidee e cappellini, già pronti a tuffarsi nel mare delle località verso cui si dirigevano. La prima impressione al salire sull’aereo è stata disastrosa, volevo i comodi bus del Transpais! L’aereo era pieno di mosche e faceva un gran caldo – l’aria condizionata iniziò a raffreddare quasi arrivando a Tampico. In compenso, il volo è stato perfetto!

Per qualche giorno abbiamo goduto del mare di Tampico e poco dopo sono ripartita per il Mante. È incredibile come, nonostante la situazione di degrado della città dovuto alle problematiche legate al narcotraffico, esistano persone che non demordono e creano gruppi di lettura, scrittura con iniziative molto costruttive. Un mondo che mi meraviglia, perché è facile cadere nel vittimismo e rinchiudersi in circoli viziosi di negatività in simili situazioni. A parte gli amici del Colectivo 3 che ho conosciuto l’anno scorso, ho partecipato un sabato mattina ad una riunione del De Leer, (persone amanti della lettura e scrittura). Ci siamo riuniti in una simpatica caffetteria di nome Cafettos Mante. Uno si può immaginare un menù di torte e pasticcini insieme al caffè: niente di più sbagliato; in realtà questo Cafettos è un piccolo ristorante con gustosi piatti messicani dove una simpatica cameriera interrompeva la lettura di Milan Kundera con la musica folkclorica che si liberava da qualche radiolina nascosta dentro la tasca del grembiule. Questo è uno dei motivi che mi fanno amare il Messico: la spontaneità. E chiedo scusa agli amici del Tè De Leer, ma la cameriera musicale è rimasta nel mio cuore più che le parole di Kundera.

Al Mante ho avuto anche l’opportunità di visitare la Casa de la Cultura, ora conosciuta come IRBA. È stato molto piacevole vedere come siano arrivati a termine i lavori di ristrutturazione iniziati anni fa; il museo è molto ben presentato, ed erano in corso molte attività come: pittura, lezioni di musica, di ballo moderno e folkclorico dove i bambini e i giovani potevano godere e partecipare a titolo gratuito durante i pomeriggi delle vacanze estive. Ci sono anche delle riunioni di lettura organizzate da CONACULTA attraverso l’operato di mia sorella Marcela. Grande fermento culturale!

In quegli ultimi giorni del mio soggiorno lì, non sono mancate le occasioni di cene sociali con amici e parenti molto piacevoli. È sempre bello sentire l’abbraccio di tutti quelli che mi sono vicini.



Prima di lasciare la mia città natale, Mante, sono andata a farmi una manicure in una piccola estetica. Vi dirò che al Mante ci sono un sacco di questi piccoli negozietti di estetica ma quasi tutti sono privi di professionalità. Ho avuto diverse esperienze negative negli ultimi anni e c’è una cosa che li accomuna: la televisione accesa nel canale delle “telenovelas”, un vero incubo! Questa volta, la manicure era una ragazza giovane, sui 20 anni, molto grassa e di carnagione molto scura. Si è seduta di fronte a me con la tv alle sue spalle e col volume altissimo; non fece parola, è stata muta durante il lungo tempo che durò la manicure, probabilmente per non perdere il filo degli irritanti dialoghi, dei litigi e pianti dei protagonisti delle telenovelas. Dopo un’ora in cui credevo di diventare pazza guardando telenovelas con dei titoli come: Tu y yo, El camino de amarguras, Lo que la vida me robó e la pubblicità martellante del detersivo per i piatti “Salvo”, finalmente arrivò il momento di scegliere lo smalto per le mie unghie. Quale sorpresa, il campionario di colori degli smalti erano le sue mani grassottelle. Ogni unghia era dipinta di un colore diverso!

Alcuni giorni dopo salutai la mia famiglia. È sempre triste dire arrivederci, anche se, a essere sincera, ora con Facebook mi sento molto più vicina a tutti. Sono andata via a Tampico con il comodo bus di Transpais e il giorno dopo presto ho preso l’aereo per Città del Messico. Una volta lì sono andata a Cuernavaca, dove trascorsi il fine settimana prima del mio ritorno in Italia.

Ma questo merita un capitolo a parte. Ora posso solo raccontarvi di una squisita colazione in un giardino di sogno, dove eleganti pavoni passeggiavano in coppia e due simpatiche galline giapponesi, spettinate e di bianco piumaggio, scorrazzavano tranquille fra i tavoli. Al suono dell’acqua di una cascata in fondo al giardino, s’univa la calda voce di sapore antico di Pedro Vargas che cantava Reloj. 



 Versión en español

Los primeros quince días de julio en Florencia fueron de un calor tórrido, como una preparación física y mental para nuestra partida y llegada al noreste de México: Tampico, Mante y Monterrey.

Este año partí con mi hijo Filippo. Eran seis años ya desde que él no iba a México y toda la familia lo esperaba con alegría. El vuelo de Florencia a París fue de lo más tranquilo y carente de emociones, lo que para mi actual fobia de volar resulta perfecto.

La sorpresa fue volver a estar en el aeropuerto Charles de Gaulle. Finalmente terminados los trabajos de los años precedentes, que lo hacían feo e incómodo, ahora la parte de vuelos internacionales luce enorme y luminosa. Hay amplios espacios con chaise lounge de un fuerte color anaranjado y por sus formas parecen lenguas de fuego, todos acomodados frente a los grandes ventanales que descubren un cielo de Magritte. De inmediato te invade una sensación de bienestar increíble. Todo aparece elegante y silencioso, solo de vez en cuando irrumpen las melodías que algún pasajero suena en el piano acomodado a propósito al fondo de la estancia.





Son varias las horas de espera para abordar el vuelo de Aeroméxico, por lo tanto aprovecho para recostarme en una de estas maravillosas lenguas de fuego. Me atrevo a quitarme los zapatos y con los pies descalzos tengo la sensación de estar al aire libre en un parque, en una playa, disfrutando de tan celeste cielo.

Más tarde me aventuro en la búsqueda de algo de comer y me doy cuenta que los franceses viven de perfumes, de sedas, de chocolaterías y de los elegantes y chic “macarons” tanto de moda en estos días, pues para encontrar un restaurante tuve que recorrer a lo largo y ancho gran parte del aeropuerto. Encuentro solo dos lugares para refrigerios; uno solo con snacks y el otro un restaurante que no ofrece muchas variedades de comida. Sin embargo, me llamaron la atención los dos tipos de alimentos que prevalecen en el menú: baguette con queso brie, nueces y pasitas (platillo nacional) y el otro, cous-cous, bulgur con azafrán (platillo de las colonias).

Satisfecha de mi sándwich de queso, me dirijo a los baños recién remodelados, muy modernos, donde el acero de los lavabos contrasta con las puertas de color anaranjado. Más lenguas de fuego. Ahí una simpática señora china me pide pasta de dientes y, como dos camaradas, nos lavamos la boca al unísono frente al gran espejo.

Tengo muchos años viajando a México durante el verano y puede parecer un viaje siempre igual pero, no obstante que es más o menos el mismo período e intinerario siempre, cambio de líneas aéreas. Esta vez de ida volé con Aeroméxico, partner de skyline con Airfrance y KLM. Fue una verdadera sorpresa ver lo nuevo que estaba el avión; no era un superjumbo pero sí mucho más cómodo, con más espacio para estirar las piernas, muy limpio y, sobretodo, el equipo de sobrecargos: todos jóvenes y superamables. No hay cosa peor que viajar con sobrecargos cercanos a su jubilación, ¡ya hartos de tan arduo y fatigante trabajo!

La travesía transoceánica para alguien que no logra dormir como yo se hace larga, aburrida y cansada. Aunque ahora con las pantallas individuales se puede pasar el tiempo viendo alguna película. De vez en cuando durante el vuelo hay alguna turbulencia, pero es una cosa mínima y vale contra lo aburrido del viaje.

Llegamos al aeropuerto de la Ciudad de México en la madrugada, como a las 3:30. si uno se esperara el aeropuerto semi desierto por el horario, se equivocaría totalmente; eso parecía un mercado en pleno mediodía. Partimos una noche silenciosa de París y amanecimos en un México ruidoso.

Después de unas horas, resuelto un problemilla con los pases de abordaje, nos embarcamos para el corto vuelo a Tampico. Ahí nos estaban esperando con un espléndido desayuno que consistía en varias frutas: papaya, piña, melón, sandía, uvas, kiwi (un arcoiris de colores), yogurt griego, muesli y granola, huevos al gusto, frijoles, tortillas y picante salsa y, claro, no podía faltar el café negro americano... arrivederci al espresso.

Unas dos horas de reposo y salimos a la playa, donde nos reunimos con el resto de la familia. Disfrutamos de la compañía, del sol, de la deliciosa agua del mar, de ricos camarones gigantes, jaibas rellenas, salpicón y refrescantes cervezas. ¡Nada mal para ser el primer día en tierra mexicana!


Llegar al Mante y atravesar el boulevard principal da siempre una sensación extraña, como de abandono. No sé si por ser una ciudad polvorosa, recuerda esas casas deterioraradas por el pasar del tiempo semiabandonadas.

El encuentro con la familia es tranquilizante. La casa de mi madre es de color ámbar. La sala y el comedor, en otro tiempo llenos de vida, parecen suspendidos en el umbral del olvido. Los sillones parecen rígidos y endurecidos; ya nadie se sienta en ellos. Los objetos están cubiertos por una ligera capa de polvo que parece cubrir también los recuerdos. De vez en cuando paseo en esa habitación observando en silencio cada cosa que está ahí desde siempre; me llena de melancolía. En las paredes hay varios cuadros; dos de ellos son míos, los pinté de jovencita cuando me creía artista. Uno de ellos es un cuadro que en la pintura viene llamada La Vanitas porque representa la efímera condición de la existencia a través de elementos simbólicos, en este caso las velas que yo pinté en botellas viejas de vino. Lo curioso es que entonces no sabía nada sobre esta corriente pictórica de 1600, que se desarrolló principalmente en Holanda. El otro cuadro es una copia de la famosa pintura Jesucristo Tata, del pintor mexicano Francisco Goitia. Como pueden notar a través de “mis obras”, ya entonces no era una persona muy alegre ni optimista. El cuadro es bellísimo, pero de una tristeza infinta.




Después de una semana en familia, de buena convivencia y despreocupación, partimos para Monterrey en un autobús de Transpais, el medio de transporte más usado en estos tiempos de inseguridad. Me llama la atención cómo una empresa privada ha logrado una profesionalidad tan alta: los autobuses salen siempre puntuales, sus choferes se muestran muy amables, limpios y respetosos. Los asientos son comodísimos, con largo espacio para la piernas. Cada asiento en su respaldo tiene su pantalla personal con un catálogo de entretenimiento que va desde doce películas internacionales, ebooks como Las flores del mal de Ch. Baudeliere, La educación sentimental de Flaubert o La decadencia de la mentira de Oscar Wilde. Puede uno también escoger audiolibros como El Decamerón de Boccaccio, El idiota de Fiodor Dostoievsky, o La letra escarlata de N. Hawthron. ¡Nada mal! O sencillamente escuchar un buen concierto o música pop.

Este es uno de los contrastes que me ha impresionado más en este viaje a México. De una parte, un alto porcentaje de analfabetismo, y de la otra, medios de tansporte de primer mundo con un abanico de ofertas culturales extraordinarias.

Una noche en Monterrey junto con mi sobrino y su esposa fuimos a cenar al aire libre a la gran terraza de un restaurante. Esa noche pasarían el juego de futbol correspondiente a la Copa Libertadores entre los Tigres de Monterrey y el River Plate de Argentina. Había muchas pantallas de televisión por todos lados, acomodadas estratégicamente para que todos pudieran apreciar el juego donde quiera que estuvieran sentados. El lugar estaba lleno de gente, todos muy emocionados y alegres. En todas las mesas había una cantidad de cervezas impresionante; en toda mi vida no había visto esa cantidad de botellas. Grandes, chicos, hombres, mujeres bebiendo sin parar. Los meseros se movían entre las mesas ágiles y rápidos como mangostas, de manera que ningún comensal pudiera quedarse con hambre y sin beber!

La oferta de platillos era deliciosa, desde el momento en que nos sirvieron un pulpo asado apoyado en una tabla con papas fritas fue un continuo desfile de exquiciteces.
Probablemente yo era la única no interesada en el partido; no amo el futbol. Me entretuve observando a las personas, tratando de platicar, aunque el barullo lo hacía casi imposible. No obstante esta confusión, bastaba volver la mirada al cielo y serenarse a la vista del bellísimo Cerro de la Silla, que surgía entre dos modernos rascacielos e iluminado por una magnífica luna llena. El contraste entre lo moderno y la fuerza de la naturaleza era impresionante.

El resto de la noche se llenó de ruidos, de expresiones de júbilo o de desilusión en los momentos en que el balón se acercaba a la portería. Ruido, ruido, gente comiendo, bebiendo, miradas que se cruzaban y no se veían, cada uno enajenado por el futbol. Fue como estar en el estadio, creo.





Estar con mis sobrinos es siempre un placer, pues son siempre gentiles. Al día siguiente del juego, no obstante lo lejos del aeropuerto, Jesu mi sobrino regresó del trabajo para llevarnos a tomar el avión hacia Tampico. Y ahí volví a mi vicio de observar a las personas durante el tiempo de espera. La terminal de Vivaerobus es realmente fea y vieja; parece más una terraza que improvisamente se transforma en terminal de aeropuerto. Observé muchas mujeres de todas las edades vestidas con shorts muy cortos y tacones de doce centímetros, algunas cargando grandes sentaderas. Me pregunto siempre, ¿cómo hacen para viajar vestidas en esa manera? Y los hombres, nada menos, vestidos con bermudas de orquídeas y gorras, ya listos para echarse clavados en el mar de las localidades a donde se dirigen. La primera impresión al subir al avión fue desastrosa, ¡quería a Transpais de vuelta!. El aeroplano estaba lleno de moscas y hacía un calor tremendo —el aire acondicionado empezó a enfriar casi llegando a Tampico. En compensación, ¡el vuelo estuvo perfecto!

Por varios días disfrutamos de las aguas del mar en la playa de Tampico y, después, regreso al Mante. Es increíble cómo, no obstante la situación de degradación en la ciudad debido a los problemas ligados al narco, existen personas que no desisten y forman grupos de lectura, de escritura con iniciativas muy productivas. Un mundo que me maravilla, pues es fácil caer en el victimismo y no salir de ciertos círculos viciosos de negatividad en situaciones semejantes. Aparte de los amigos del Colectivo 3 que conocí el año pasado, participé un sábado por la mañana en una reunión de amantes de las letras (escritas o leídas), en una cafetería de nombre Cafettos Mante. Ahí uno pudiera imaginarse un menú de pasteles junto al café, pero nada más equivocado; este Cafettos es un pequeño restaurant de ricos antojitos mexicanos, donde una simpática y alegre mesera interrumpía las lecturas de MIlan Kundera con la música ranchera que se liberaba de algún artefacto escondido en la bolsa de su delantal. Esto es lo que me hace amar a México: la espontaneidad. Y que no se me ofendan los amigos del Té De Leer, pero la mesera musical se quedó en un especial rincón de mi corazón más que las palabras de Kundera.

En Mante también tuve la oportunidad de visitar la Casa de la Cultura, ahora conocida con el nombre de IRBA. Fue una alegría ver cómo todos los trabajos de restauración habían llegado a su fin; el museo completamente bien presentado, y muchas actividades funcionando magnificamente: clases de música, de pintura, de danza moderna y folclórica donde los niños y jóvenes pueden aprender y disfrutar en las tardes. También mi hermana Marcela, a través de Conaculta, organiza reuniones de lectura. ¡Grande fermento cultural!

En esos últimos días de mi estancia ahí, no faltaron las ocasiones de cenas sociales con los amigos y familiares más cercanos a mí, las cuales las disfruté muchisimo. Es siempre bonito sentir el abrazo de todos.

 Antes de partir me quise arreglar las manos y por comodidad escogí un pequeño salón de belleza cerca de casa de mi mamá.Tal vez ustedes no me crean pero en el Mante hay muchísimos de estos saloncitos o estéticas, aunque la mayoría poco profesionales. He tenido varias malas experiencias en estos últimos años y una cosa tienen todas en común: la televisión prendida en el canal de las telenovelas, ¡una verdadera pesadilla! Esta vez, la chica que me hizo el manicure era bastante joven, como de 21 años, muy gorda y de piel morena. Se sentó de frente a mí con la TV a sus espaldas y a todo volumen; no pronunció palabra, estuvo muda en el largo rato que duró el manicure, probablemente para no perder una palabra de los irritantes diálogos, pleitos y llantos de los protagonistas noveleros. Después de una hora de estarme volviendo loca entre las telenovelas de títulos como: Tu y yo, El camino de amarguras, Lo que la vida me robó y la publicidad martillante del jabón para platos Salvo, finalmente llegó el momento de escoger el esmalte para mis uñas. Y cuál no sería mi sorpresa, que el muestrario de colores eran sus cortas manos regordetas. ¡Cada uña estaba pintada de un color diferente!

Unos días después me despedí de mi familia. Siempre es triste decir “hasta luego”, aunque si para ser sincera, ahora con Facebook me siento mucho más cercana a todos. Salí para Tampico en un cómodo bus de Transpais y al día siguiente, temprano, tomé el vuelo para la Ciudad de México. Una vez ahí viajé a Cuernavaca, donde pasé el fin de semana antes de mi regreso a Italia.

Pero este capítulo merece otro espacio. Ahora puedo solo contarles de un delicioso desayuno en un jardín de ensueño, donde elegantes pavoreales paseaban en pareja y dos simpáticas gallinas japonesas, despeinadas y de plumaje blanco, correteaban entre las mesas. Al sonido del agua de una casacada al fondo del jardín, se unía la cálida voz de sabor antiguo de Pedro Vargas que cantaba Reloj.